RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - Processo G8: «I poliziotti non dissero il vero? Furono intimiditi»
Genova, 31 marzo 2009
Processo G8: «I poliziotti non dissero il vero? Furono intimiditi»
          blitz alla   diaz di genova, le richieste del procuratore generale
          Secondo l'accusa, il   procedimento va rifatto acquisendo tutti gli interrogatori compiuti durante le   indagini
          
          Il processo per il blitz alla Diaz va   rifatto in appello annullando le deposizioni «omertose» dei poliziotti imputati   e acquisendo i verbali degli interrogatori eseguiti durante le indagini. 
          Per   «il clima di intimidazioni e minacce» nel quale il dibattimento di primo grado   si è svolto, è necessario non solo riscrivere la sentenza, ma riazzerare tutto   in appello, anche prendendo atto delle intercettazioni telefoniche, seguite   all'apertura del fascicolo per falsa testimonianza nei confronti dell'ex   questore di Genova Francesco Colucci, che ha visto il coinvolgimento dell'ex   capo della polizia Gianni De Gennaro oltre al dirigente della digos del   capoluogo ligure Spartaco Mortola. 
          Intercettazioni nelle quali emersero   tentativi messi in atto ai più alti livelli per contrastare l'accertamento della   verità.
          Sono i punti chiave della richiesta di Appello contro la sentenza di   primo grado nei confronti dei poliziotti a processo per il G8 di Genova del   2001, e in particolare per l'irruzione nel centro del Genoa social forum che si   tradusse in una «macelleria messicana» e in arresti di massa, con prove e   verbali falsi. 
          La discesa in campo del massimo organo inquirente del   tribunale genovese al fianco dei pubblici ministeri Francesco Albini Cardona ed   Enrico Zucca, resa nota sabato scorso, era di per sé un fatto "politicamente"   clamoroso. Ma è analizzando le righe del ricorso che emergono gli aspetti più   dirompenti. 
          Lo stesso vale per il ricorso dei pm che punta l'indice verso il   «codice di omertà» a cui si attennero tutti i poliziotti durante le indagini   sulla Diaz e poi al processo. 
          I due pm smontano passo passo la sentenza del   giudice Gabrio Barone che definiscono «con profonda desolazione e   smarrimento»«un verdetto» privo di «motivazioni» e quindi non solo nullo, ma   «nocivo» perché«rischia di fornire un crisma di legittimità a pratiche delle   forze di polizia, che sono comunemente considerate abusi e quindi reati».
          Il   «contraddittorio processuale pare non aver affatto interessato il giudice»,   scrivono i due pm: «Il giudice ha preso in esame prove e testimonianze in modo   acritico e frammentario, usando anche verbali dichiarati inutilizzabili». Gli   errori di metodo, imputati al tribunale, avrebbero secondo i pm generato «un   travisamento dei fatti» oggetto del processo: l'organizzazione del blitz, le   presunte aggressioni che scatenarono la reazioni degli agenti, la perquisizione,   gli arresti, le violenze. Violenze verso le quali il giudice mostra una «carente   attenzione». 
          «Dalla generale diffusione delle violenze si deduce non solo un   accordo diretto a garantire l'impunità, ma un ruolo di incitamento trainante   degli imputati capisquadra e comandanti, che guidano alla carica e all'azione   violenta, accompagnata da grida di battaglia, un reparto che, per il suo   inquadramento compatto, agisce come un sol uomo e "colpisce alla cieca"». 
          I   falsi verbali e le molotov? «Un processo nel processo» nel quale il giudice   raggiunge fino a un certo punto «certezze grossolane» e non fa altrettanto,   quando la gestione delle false prove tocca i piani alti della polizia.
          «Il   sangue versato e la sospensione del diritto nella notte della Diaz, un giorno   dopo la tragica morte di un giovane manifestante, - concludono i pm - richiedono   una più adeguata ricerca sulle cause e sugli autori».
          
          Graziano Cetara
        

